Botticelli, Bramante e Raffaello

                    SANDRO BOTTICELLI



Sandro Botticelli, vero nome Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi nasce a Firenze, il 1º marzo 1445 e muore a Firenze il 17 maggio 1510, è stato un pittore italiano.

Sandro Botticelli nacque nel 1445 a Firenze in via Nuova (oggi via del Porcellana), ultimo di quattro figli maschi e crebbe in una famiglia modesta ma non povera, mantenuta dal padre, Mariano di Vanni Filipepi, che faceva il conciatore di pelli ed aveva una sua bottega nel vicino quartiere di Santo Spirito.

Lo stile di Botticelli subì diverse evoluzioni nel tempo, ma fondamentalmente mantenne alcuni tratti comuni che lo rendono tutt'oggi ben riconoscibile, anche nel vasto pubblico. Gli input fondamentali della sua formazione artistica furono sostanzialmente tre: Filippo Lippi, Andrea del Verrocchio e Antonio del Pollaiolo.

Dal Lippi, suo primo vero maestro, apprese a dipingere fisionomie eleganti e di una rarefatta bellezza ideale, il gusto per la predominanza del disegno e della linea di contorno, le forme sciolte, i colori delicatamente intonati, il calore domestico delle figure sacre. 

Dal Pollaiolo ricavò la linea dinamica e energetica, capace di costruire forme espressive e vitali con la forza del contorno e del movimento. 

Dal Verrocchio imparò a dipingere forme solenni e monumentali, fuse con l'atmosfera grazie ai fini giochi luministici, e dotate di effetti materici nella resa dei diversi materiali. 

Dalla sintesi di questi motivi Botticelli trasse un'espressione originale e autonoma del proprio stile, caratterizzato dalla particolare fisionomia dei personaggi, impostati a una bellezza senza tempo sottilmente velata di malinconia, dal maggiore interesse riservato alla figura umana rispetto agli sfondi e l'ambiente, e dal linearismo che talvolta modifica le forme a seconda del sentimento desiderato ("espressionismo"), quest'ultimo soprattutto nella fase tarda dell'attività. Di volta in volta, a seconda dei soggetti e del periodo, prevalgono poi le componenti lineari o coloristiche o, infine, espressionistiche.

Nell'ultima produzione si affacciò il dilemma nel contrasto tra il mondo della cultura umanistica, con le sue componenti cortesi e paganeggianti, e quello del rigore ascetico e riformatore di Savonarola, che portò l'artista a un ripensamento e a una crisi mistica che si legge anche nelle sue opere. I soggetti si fanno sempre più introspettivi, quasi esclusivamente religiosi, e le scene diventano più irreali, con la ripresa consapevole di arcaicismi quali il fondo oro o le proporzioni gerarchiche. In questa crisi però si trova anche il seme della rottura dell'ideale di razionalità geometrica del primo Rinascimento, in favore di una più libera disposizione dei soggetti nello spazio che prelude la sensibilità di tipo cinquecentesco. La pittura di Botticelli s'ispirò anche alla filosofia del neoplatonismo rinascimentale fiorentino il cui fondatore fu Marsilio Ficino.

                           Venere e Marte



Uno dei personaggi più conosciuti dell’artista è Venere. Non tutte le dee dipinte da Botticelli però hanno goduto della stessa fama, come nel caso dell’opera Venere e Marte, databile attorno al 14831484, oggi conservata nella National Gallery di Londra.

Venere e Marte di Sandro Botticelli è un’opera concepita verosimilmente per un membro della famiglia Vespucci, una potente e famosa famiglia, affezionata all’artista, vicina di casa di quest’ultimo. 

L’ipotesi della committenza deriva dalla raffigurazione di un nido di vespe, simbolo della famiglia, nell’incavo di un tronco all’estremità destra della tavola. Il tema rappresentato e il formato del pannello lasciano intuire che il dipinto fosse destinato a onorare una spalliera nuziale.

Venere, insieme a Marte, sono i protagonisti della composizione, distesi su un prato con cespugli di mirto, pianta sacra alla dea. Venere dea dell’amore, della bellezza e del principio femminile, è sveglia e osserva Marte, dio della guerra, dormiente. Dei satirelli giocano con le armi: uno indossa l’elmo, troppo grande per la sua testa e solleva la lancia con un compagno; un terzo a destra è entrato nel busto di ferro di un’armatura. 

L’ultimo accosta una conchiglia a tromba a un orecchio di Marte e vi soffia dentro per svegliarlo di soprassalto. Malgrado l’atmosfera serena ci sono alcuni elementi che sembrano turbare la tranquillità della scena, come lo sguardo malinconico di Venere o il sonno dal quale sembra impossibile risvegliarsi Marte. Tutta la scena sembra essere armoniosa ed equilibrata, grazie ai gesti e ai movimenti dei personaggi. L’utilizzo di colori non troppo forti e la tecnica di realizzazione che prevede l’uso di tempera a uovo e colori ad olio, rendono i volti più realistici

L’opera ha da sempre affascinato gli amanti dell’arte, anche a causa della complessa simbologia su cui si sono avvicendate numerose possibili interpretazioni. Secondo molti studiosi, Venere e Marte è più di un semplice omaggio alla mitologia e all’amore. L’opera risentirebbe del clima umanistico e delle teorie neoplatoniche che si erano sviluppate in quel periodo. La rappresentazione sarebbe quindi un’allegoria dell’armonia degli opposti: la vittoria di Venere, che è l’amore, su Marte, che è la guerra.  


                             BRAMANTE



Donato "Donnino" di Angelo di Pascuccio detto il Bramante nato a Fermignano, il 1444, muore a Roma, l'11 aprile 1514, è stato un architetto e pittore italiano, tra i maggiori artisti del Rinascimento. 

Formatosi a Urbino, uno dei centri della cultura italiana del XV secolo, fu attivo dapprima a Milano, condizionando lo sviluppo del rinascimento lombardo, quindi a Roma, dove progettò la basilica di San Pietro. 

In qualità di architetto, fu la personalità di maggior rilievo nel passaggio tra il XV e il XVI secolo e nel maturare del classicismo cinquecentesco, tanto che la sua opera è confrontata dai contemporanei all'architettura delle vestigia romane e lui considerato "inventore luce della buona e vera Architettura".

Bramante fu attivo in Lombardia anche come pittore, malgrado restino solo pochi affreschi, a Milano e Bergamo: gli affreschi frammentari rappresentanti Eraclito e Democrito e Uomini d'arme (oggi alla Pinacoteca di Brera) eseguiti tra il 1486 ed il 1487 per la casa del poeta Gaspare Ambrogio Visconti, mecenate e protettore dell'artista, ed altri frammenti quasi illegibili rappresentanti dei Filosofi dell'antichità eseguiti per il Palazzo del Podestà di Bergamo. Completamente deperiti sono invece gli affreschi della facciata di Palazzo Fontana Silvestri anch'essi attribuiti al Bramante.

Tradizionalmente gli vengono attribuiti anche un dipinto su tavola, il Cristo alla colonna, già nell'abbazia di Chiaravalle, e l'affresco detto di Argo, nella sala del tesoro del Castello Sforzesco. 

Ebbe come allievo il pittore Bartolomeo Suardi detto il Bramantino ed ebbe un importante influsso sulla cultura pittorica lombarda ed in genere settentrionale, diffondendo il gusto per la rappresentazione prospettica. Nel successivo periodo romano Bramante sembra cessare l'attività pittorica, forse per il venuto impegno nei grandi cantieri papali.

           Tempietto di San Pietro in Montorio




Il tempietto di San Pietro in Montorio, detto anche Tempietto del Bramante, è una piccola costruzione a pianta circolare posta al centro di uno dei cortili del convento di San Pietro in Montorio a Roma, sul colle Gianicolo. Viene considerato uno degli esempi più significativi d'architettura rinascimentale, di cui esemplifica alcuni dei temi fondamentali, come la pianta centrale, la ripresa dell'architettura romana antica e la ricerca proporzionale e geometrica nel rapporto tra le parti.

La costruzione fu commissionato a Bramante dal Re di Spagna, in quanto il complesso monastico apparteneva ad una congregazione spagnola. Doveva celebrare il martirio di san Pietro che secondo una tradizione era avvenuto proprio sul Gianicolo. Forse fu progettato nel 1502, ma sugli anni di progetto e di costruzione esistono alcuni dubbi. L’opera ebbe grande fortuna critica; il Serlio ed il Palladio la reputarono degna di figurare accanto alle opere degli antichi ed influì direttamente o indirettamente su molte opere architettoniche successive.

Il tempietto, monoptero, ha un corpo cilindrico, che costituisce la cella del tempio, la cui muratura è scavata da nicchie insolitamente profonde e scandita da paraste come proiezione delle colonne del peristilo. La costruzione è infatti circondata da un colonnato dorico sopraelevato su gradini; sulle colonne corre una trabeazione conforme alle indicazioni vitruviane, con un fregio decorato con triglifi e metope. Le colonne sono di granito grigio; le altre membrature di travertino.

L'interno della cella ha un diametro di circa 4 metri e mezzo; più un "naos" che uno spazio dedicato alle funzioni liturgiche; un luogo puramente simbolico e commemorativo. La forma cilindrica è in qualche modo trasformata da alte e profonde nicchie, quattro delle quali ospitano piccole statue degli evangelisti. Sull'altare è collocata una statua di San Pietro di anonimo lombardo. Il pavimento è a tessere marmoree policrome, nello stile cosmatesco, oggetto di un certo revival a fine XV secolo.

Lo spazio è coperto con una cupola, progettata in conglomerato cementizio (alla maniera degli antichi) e posta su di un tamburo ornate da lesene a formare un ordine sovrapposto a quello delle colonne. Il rivestimento in piombo, probabilmente presente fin dalla costruzione, è stato ripristinato nel XX secolo, in quanto nell'Ottocento era stato sostituito da tegole laterizie.

Secondo i progetti iniziali, il tempietto avrebbe dovuto inserirsi al centro di un cortile circolare non realizzato (l'attuale è di forma quadrangolare), così da evidenziare la perfetta simmetria dell'impianto e sottolineare la centralità del tempio la cui struttura si radiava nel cortile, proiettando le 16 colonne in altre 16 a formare un portico circolare, come possiamo vedere in una ricostruzione del Serlio.

La costruzione è soprastante una cripta circolare il cui centro indica il luogo dove venne piantata la croce del martirio, asse ideale di tutta la costruzione. Alla cripta si accede con scale esterne realizzate nel XVII secolo; originariamente esisteva solo una botola.

La costruzione è concepita mediante rapporti geometrici semplici:

  • l'altezza (compreso architrave, fregio e cornice) è uguale alla distanza da questa alla sommità della cupola;
  • la cupola dell'edificio ha un raggio pari alla sua altezza, e all'altezza del tamburo su cui si appoggia; in questo ha un chiaro rapporto con il Pantheon (nel quale la cupola, anch'essa una semisfera, è alta la metà esatta dell'edificio completo);
  • il diametro della circonferenza esterna delle colonne è pari a 3/2 del diametro della cupola.Il tempietto di San Pietro in Montorio, detto anche Tempietto del Bramante, è una piccola costruzione a pianta circolare posta al centro di uno dei cortili del convento di San Pietro in Montorio a Roma, sul colle Gianicolo. Viene considerato uno degli esempi più significativi d'architettura rinascimentale, di cui esemplifica alcuni dei temi fondamentali, come la pianta centrale, la ripresa dell'architettura romana antica e la ricerca proporzionale e geometrica nel rapporto tra le parti.

    La costruzione fu commissionato a Bramante dal Re di Spagna, in quanto il complesso monastico apparteneva ad una congregazione spagnola. Doveva celebrare il martirio di san Pietro che secondo una tradizione era avvenuto proprio sul Gianicolo. Forse fu progettato nel 1502, ma sugli anni di progetto e di costruzione esistono alcuni dubbi. L’opera ebbe grande fortuna critica; il Serlio ed il Palladio la reputarono degna di figurare accanto alle opere degli antichi ed influì direttamente o indirettamente su molte opere architettoniche successive.

    Il tempietto, monoptero, ha un corpo cilindrico, che costituisce la cella del tempio, la cui muratura è scavata da nicchie insolitamente profonde e scandita da paraste come proiezione delle colonne del peristilo. La costruzione è infatti circondata da un colonnato dorico sopraelevato su gradini; sulle colonne corre una trabeazione conforme alle indicazioni vitruviane, con un fregio decorato con triglifi e metope. Le colonne sono di granito grigio; le altre membrature di travertino.

    L'interno della cella ha un diametro di circa 4 metri e mezzo; più un "naos" che uno spazio dedicato alle funzioni liturgiche; un luogo puramente simbolico e commemorativo. La forma cilindrica è in qualche modo trasformata da alte e profonde nicchie, quattro delle quali ospitano piccole statue degli evangelisti. Sull'altare è collocata una statua di San Pietro di anonimo lombardo. Il pavimento è a tessere marmoree policrome, nello stile cosmatesco, oggetto di un certo revival a fine XV secolo.

    Lo spazio è coperto con una cupola, progettata in conglomerato cementizio (alla maniera degli antichi) e posta su di un tamburo ornate da lesene a formare un ordine sovrapposto a quello delle colonne. Il rivestimento in piombo, probabilmente presente fin dalla costruzione, è stato ripristinato nel XX secolo, in quanto nell'Ottocento era stato sostituito da tegole laterizie.

    Secondo i progetti iniziali, il tempietto avrebbe dovuto inserirsi al centro di un cortile circolare non realizzato (l'attuale è di forma quadrangolare), così da evidenziare la perfetta simmetria dell'impianto e sottolineare la centralità del tempio la cui struttura si radiava nel cortile, proiettando le 16 colonne in altre 16 a formare un portico circolare, come possiamo vedere in una ricostruzione del Serlio.

    La costruzione è soprastante una cripta circolare il cui centro indica il luogo dove venne piantata la croce del martirio, asse ideale di tutta la costruzione. Alla cripta si accede con scale esterne realizzate nel XVII secolo; originariamente esisteva solo una botola.

    Il piccolo edificio è consapevolmente modellato sul tempio periptero circolare, un tipo descritto da Vitruvio e utilizzato dall'architettura romana antica e di cui erano visibili e abbastanza integri alcuni esempi come il Tempio di Vesta di Tivoli, il Tempio di Vesta nel Foro ed il Tempio di Ercole Vincitore (all'epoca anch'esso creduto un tempio dedicato a Vesta) a Roma.

    Visto lo scopo del tempietto, tale riferimento forse serviva a classicizzare l'esempio paleocristiano delle piccole costruzioni circolari destinate generalmente come martirya. Si possono in questo senso ricordare il mausoleo di Santa Costanza e il Santo Stefano Rotondo.

    Un altro riferimento di Bramante fu la ben più grande mole del Pantheon, a pianta circolare. In effetti la costruzione del tempietto si pone al centro della ricerca che coinvolse tutti gli architetti del Rinascimento relativa alla pianta centrale come modello per rappresentare la realtà divina ed il cosmo; questo in modo particolare per la forma circolare, espressione concettuale e visiva della "figura del mondo". Nel caso del tempietto la circolarità è esasperata nella concezione del progetto complessivo che si risolve in una serie di cerchi concentrici a partire dalla pavimentazione interna, fino al portico del cortile non realizzato.



                         RAFFAELLO SANZIO 



    Raffaello nasce ad Urbino il 6 aprile 1483. Suo padre, Giovanni Santi, è un modesto pittore della corte di Urbino, un ambiente di grande cultura cosmopolita. Nel 1491 muore la madre Màgia ed il padre, poco tempo dopo, si risposa. 

    Il 1° agosto 1494 muore anche il padre. Rimasto orfano a soli undici anni, Raffaello viene affidato allo zio sacerdote, Bartolomeo. Raffaello aveva già mostrato il suo talento, dato che Giorgio Vasari, suo contemporaneo, racconta che da bambino era stato di grande aiuto al padre nelle numerose opere che Giovanni eseguiva nello stato di Urbino

    Ad Urbino Raffaello ha studiato le opere di Piero della Francesca e di Luciano Laurana ed ha iniziato a studiare il disegno e la prospettiva.L’influenza più evidente sulle sue prime opere è quella di Pietro Vannucci, il Perugino, uno dei più grandi pittori dell’epoca che ha lavorato in modo particolare a Perugia e a Firenze.

    Secondo Vasari, Raffaello inizia l’apprendistato proprio presso il Perugino, quando il padre è ancora vivo. La prima opera documentata di Raffaello è una pala d’altare per la chiesa di San Nicola da Tolentino a Città di Castello. La pala viene commissionata nel 1500 e terminata nel 1501. Oggi ne restano solo pochi frammenti, in quanto la pala è stata gravemente danneggiata durante un terremoto nel 1789. Negli anni seguenti Raffaello dipinge molte altre opere per le chiese di Città di Castello e di Perugia.Nel 1504 si trasferisce a Firenze per imparare le lezioni dei grandi pittori Leonardo Da Vinci Michelangelo. 

    Pur trascorrendo in questa città gran parte dei quattro anni successivi (il “periodo fiorentino”), Raffaello probabilmente non vi vive in modo continuo, ma continua a viaggiare e a lavorare in varie città, come Perugia, Urbino e forse anche Roma. A Firenze Raffaello fa amicizia con i pittori locali, soprattutto Fra' Bartolomeo, la cui influenza lo spinge ad abbandonare lo stile esile ed aggraziato del Perugino per forme più grandiose e poderose.

    Le opere del periodo fiorentino, fino al 1507, dai ritratti (Dama col liocorno, Agnolo Doni, Maddalena Doni, La gravida) alle Madonne (Madonna Connestabile, Madonna del prato, Madonna del cardellino, La bella giardiniera) sono una prova della facilità con cui Raffaello ha saputo prendere spunto dalle varie correnti dell'epoca. 

    Verso la fine del 1508 si trasferisce a Roma, dove inizia a lavorare per papa Giulio II, che gli commissiona una serie di decorazioni nelle sue stanze a Palazzo Vaticano. Commissione che ha segnato la svolta nella carriera del pittore, dal momento che fino ad allora era considerato un artista in formazione e non aveva ancora ricevuto incarichi di tale importanza e prestigio.

    Da allora, pur lavorando anche per altri mecenati, rimane prevalentemente al servizio di Giulio II e del suo successore Leone X, diventando l'artista più ricercato di Roma. Nel 1514, dopo la morte del Bramante, viene nominato architetto dalla chiesa di San Pietro che Giulio II sta facendo costruire. 

    I progetti di Raffaello per San Pietro verranno modificati dopo la sua morte, ma per un breve periodo gli permettono di diventare anche l’architetto più importante di Roma. La maggior parte della sua opera architettonica va però persa, perché demolita o modificata. 

    Nel 1515 Leone X gli affida l’incarico della conservazione e della registrazione dei marmi antichi. I ritratti rimangono un’attività secondaria soprattutto dopo il trasferimento a Roma, dove viene obbligato a dedicare quasi tutto il suo tempo ai grandi progetti vaticani. Ritrae comunque i due papi per cui ha lavorato, Giulio II e Leone X. 

    Uno degli incarichi più importanti che Raffaello riceve dal Papa è una serie di dieci arazzi con scene della vita di San Pietro e di San Paolo destinati alla Cappella Sistina. I cartoni realizzati vengono inviati a Bruxelles per essere tessuti nella bottega di Pier van Aelst. I primi tre arazzi arrivano a Roma nel 1519.

                  LA SCUOLA DI ATENE

    La Scuola di Atene è un affresco realizzato tra il 1509 e il 1511 dal pittore rinascimentale italiano Raffaello Sanzio ed è situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro "Stanze Vaticane", poste all'interno dei Palazzi Apostolici. E' una delle opere pittoriche più importanti dei Musei Vaticani.

    La Scuola di Atene parla del tema della ricerca razionale e offre una rappresentazione delle sette arti liberali con in primo piano, da sinistra la grammatica, l'aritmetica e la musica, a destra geometria e astronomia, e in cima alla scalinata retorica e dialettica. 

    Nell'affresco i più celebri filosofi e matematici dell'antichità sono ritratti mentre dialogano tra loro sullo sfondo di un immaginario edificio classico, rappresentato in perfetta prospettiva. Le figure sono disposte su due piani definiti da una larga scalinata che taglia l'intera scena. 

    Un primo e più numeroso gruppo è disposto ai lati della coppia centrale di Platone e Aristotele che conversano tra loro. Un secondo gruppo sulla sinistra è rappresentato dai pensatori interessati alla conoscenza della natura e dei fenomeni celesti. Un terzo, simmetrico al secondo, è dei matematici dove Euclide è intento a tracciare una dimostrazione geometrica.

    Le cinquantotto figure presenti nell'affresco hanno sempre sollecitato gli studiosi alla loro identificazione. Quel che è certo è che per figurare vari personaggi Raffaello scelse il volto di artisti a lui contemporanei. Per esempio Platone ha le sembianze di Leonardo da Vinci che regge il Timeo e solleva il dito verso l'alto a indicare Il Bene.

    Aristotele invece, il cui volto sembra essere quello del maestro di prospettive Bastiano da Sangallo e tiene tra le mani l'Etica Nicomachea.Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, vestito di bianco che guarda verso lo spettatore sarebbe Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II. Euclide (o secondo altri Archimede) è raffigurato con l'aspetto di Donato Bramante. Michelangelo Buonarroti darebbe il volto al filosofo Eraclito. Raffaello avrebbe messo anche se stesso nell'affresco, impresonando la figura del celebre pittore greco Apelle.

    Il grande affresco di Raffaello è una sorta di "manifesto" del Rinascimento che pone l'uomo al centro dell'universo. L'essere umano domina la realtà, grazie all'intelletto, in continuità dall'antichità classica al cristianesimo. 


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