Il Rinascimento

Andrea Mantegna

Andrea Mantegna è un pittore, incisore e minimalista italiano, cittadino della Repubblica di Venezia. 

Studiò in una bottega veneta, dove maturò il gusto per la citazione archeologica, venne a contatto con le novità dei toscani di passaggio in città soprattutto, Donatello, dai quali imparò una precisa applicazione della prospettiva

Mantegna si distinse infatti per la perfetta impaginazione spaziale, il gusto per il disegno nettamente delineato e per la forma monumentale delle figure.

La camera degli Sposi


La cosiddetta Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale di Mantova, chiamata un tempo anche Camera Picta  (camera dipinta), è forse l’opera più famosa dell’artista. 

Realizzata in un periodo compreso fra il 1465 e il 1474, è considerata uno dei grandi capolavori del XV secolo. 

Si tratta di una sala quadrata dalle dimensioni relativamente ridotte (8 metri circa di lato, con due finestre, due porte e un camino), collocata nel torrione nord-est del palazzo e coperta da una volta.

Questo ambiente aveva la duplice funzione di sala delle udienze, dove il marchese svolgeva la sua funzione pubblica, politico-amministrativa, e quella di camera di rappresentanza, destinata alle riunioni familiari. 

La sala venne chiamata Camera degli Sposi solo nel XVII secolo, non in quanto camera nuziale ma per la presenza di Ludovico Gonzaga e di sua moglie, ritratti in una posizione preminente. 

Le circostanze della commissione degli affreschi che decorano questa sala, e quindi l’esatta data della loro realizzazione, non sono state ancora definite con chiarezza. 

Mantegna rese illusoriamente grandioso lo spazio angusto di questa piccola sala trasfigurandolo con una complessa decorazione interamente dipinta, che simula un’architettura di gusto antiquario

Una finta struttura a pilastri, ornata da motivi decorativi a candelabre, finte sculture, finte corone e finti medaglioni commemorativi, regge una volta a costoloni conclusa, al centro, da un’apertura circolare (oculo) sovrastata da un parapetto dipinto in prospettiva  da cui si scorge il cielo

L’oculo 
                                                                                                                                                         
                                        

Alla sommità della volta, all' apertura ha un diametro di circa un quarto del lato della stanza ed è circondata da una fastosa ghirlanda ricca di foglie e frutti. 

Vi si affacciano un pavone, cinque figure femminili e dieci putti alati, alcuni rappresentati in audacissimo scorcio sul lato interno della cornice. 

Anche il grande vaso con una pianta di agrumi, sorretto da un’asta, è mostrato in prospettiva dal basso e sembra pericolosamente in bilico.

La parete ovest

La mirabile architettura virtuale di Mantegna ospita su due pareti attigue, quella ovest e quella nord, i ritratti dei Gonzaga e dei personaggi della loro corte, i quali occupano uno spazio aperto ricavato, illusionisticamente, sopra un finto zoccolo marmoreo che occupa la fascia inferiore della sala e regge i pilastri che scandiscono le scene.

Sugli sfondi si ammirano vedute di campagna, castelli, giardini e monumenti antichi e l’effetto finale, altamente suggestivo, è ottenuto grazie all’uso sistematico delle regole della prospettiva brunelleschiana.

Nella scena dell’Incontro del marchese Ludovico con il figlio cardinale Francesco, sulla parete ovest, i personaggi sono compostamente atteggiati, quasi in posa, e la posizione di profilo della maggior parte di loro esclude la caratterizzazione storica della scena, che peraltro è smentita dalla rappresentazione, sullo sfondo, dell’antica città di Roma, città simbolica per eccellenza. 

Anzi, proprio la scelta di rappresentare i Gonzaga di profilo, mutuando questa loro rigida postura dal modello classico delle medaglie all’antica, serve a conferire ai personaggi un carattere aulico e quasi sacrale.

Era la prima volta che un pittore tentava una così rigorosa prospettiva dal basso  costruendola con un solo punto di fuga centrale. 

La parete nord

Non a caso, nella parete nord, dove la famiglia del principe è mostrata in un momento quotidiano con i membri della corte, i personaggi sono raffigurati per lo più di tre quarti.

Ludovico, per esempio, che indossa una comoda veste da camera, volge il capo verso il suo segretario consigliere, con un gesto molto naturale. 

Benché la posizione del marchese sia piuttosto defilata rispetto alla composizione della scena, la sua posa è talmente spontanea da attirare inevitabilmente l’attenzione dello spettatore.

Gustoso è il dettaglio del cane preferito di Ludovico, accucciato sotto il suo trono. 

Accanto al marchese troneggia la moglie, Barbara di Brandeburgo, dall’espressione assai solenne e in posizione quasi frontale. 

Da notare che il suo seggio è più basso di quello del marito, per marcare la sua minore importanza nella gerarchia familiare. 

Fra i due coniugi è ritratta, rigidamente di profilo, Paula, la figlia morta prematuramente: questa posa innaturale rende la sua figura astratta e irreale, nonostante la puntuale individuazione fisionomica.

Pala della Madonna della Vittoria

                                  Mantegna, madonna della vittoria.jpg


La Pala illustra da un lato l'omaggio di Francesco Gonzaga alla Vergine, dall'altro simboleggia la fede cristiana

La Madonna col Bambino in grembo si trova su un alto trono, decorato da marmi screziati e bassorilievi. 

La base del trono, con girali e zampe leonine,  e poggia su un basamento circolare con un bassorilievo del Peccato originale ed altre storie della Genesi appena visibili (a sinistra una donna vestita all'antica, a destra un angelo, forse relativo alla Cacciata dal Paradiso Terrestre). 

Sulla spalliera del trono, finemente intarsiata, si trova un grande disco solare, decorato da intrecci e perle vitree. 

Il Bambino, che tiene in mano due fiori rossi, simbolo della Passione, e Maria sono rivolti verso Francesco Gonzaga, inginocchiato sopra lo zoccolo del basamento mentre ne riceve la benedizione con un'espressione sorridente e colma di gratitudine. 

La protezione accordata al signore di Mantova è anche simboleggiata dal manto di Maria che, tenuto dai santi ai lati, arriva a coprirlo, con effetti di delicata trasparenza.

Sul lato opposto a Francesco sta san Giovannino, con la croce in mano e sua madre. 

In piedi ci sono due santi per lato: in prima fila, ai lati della Vergine, due santi militi, vestiti di armature splendidamente decorate; in secondo piano s'intravedono poi a sinistra sant'Andrea con un lungo bastone con la Croce, e a destra Longino, il centurione romano che secondo la tradizione avrebbe portato a Mantova la reliquia del preziosissimo sangue di cristo, identificabile dall' elmo e da una lunga lancia rossa, il cui colore rimanda alla Passione e con la quale avrebbe trafitto il costato del Crocifisso.

Cristo morto


Ritenuta una delle opere più suggestive dell’intero Rinascimento, il Cristo morto venne dipinto intorno al 1480, probabilmente per la sua cappella funeraria. 

Venne infatti trovato dai figli dell’artista nella sua bottega, dopo la morte del maestro, e venduto al cardinale Sigismondo Gonzaga per pagare alcuni debiti. 

Dopo essere passato per le collezioni del re d’Inghilterra Carlo I, poi del cardinale Mazzarino in Francia e infine per il mercato antiquario, il quadro fu donato nel 1824 alla Pinacoteca di Brera, dove si trova ancora oggi.

La tela rappresenta il cadavere di Cristo, coperto in parte dal sudario, steso su una lastra di pietra rossastra venata di bianco e con la testa appoggiata su un cuscino. 

Il punto di vista scelto dall’artista, leggermente rialzato rispetto al piano su cui giace il corpo, ci mostra i piedi di Gesù in primissimo piano, caso unico nella storia della pittura quattrocentesca. 

La scena si svolge in un ambiente chiuso e buio, probabilmente il sepolcro

A destra si nota un vaso, destinato a contenere l’unguento usato, secondo i Vangeli, per ungere il corpo di Gesù prima della sepoltura. 

La lastra di pietra rossa andrebbe dunque identificata con la cosiddetta “pietra dell’unzione”, una preziosa reliquia che, sino al XII secolo, si trovava nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme e che, trasportata a Costantinopoli, andò in seguito smarrita. 

Sempre a destra, si scorge appena un tratto di pavimento e una porta che introduce in un’altra stanza buia.

Le ferite delle mani e dei piedi di Cristo, con la pelle sollevata e la carne viva a vista, sono intenzionalmente esibite e rappresentate con il realismo degno del più abile artista fiammingo.

Accanto al morto, sulla sinistra, si scorgono i volti della Madonna piangente che si asciuga gli occhi con un fazzoletto e, in primo piano, san Giovanni; la figura sul fondo, seminascosta, è certamente la Maddalena. 

Anche in questo caso il Mantegna, per esaltare gli aspetti drammatici dell’episodio, insiste nella definizione quasi impietosa dei particolari, soffermandosi sulle rughe della madre anziana, sugli occhi gonfi e rossi, sulle bocche contratte dal dolore o deformate dalle smorfie del pianto.





Leon Battista Alberti

Nato a Genova il 14 Febbraio  è stato un architettoscrittorematematicoumanistacrittografolinguistafilosofomusicista e archeologo italiano; fu una delle figure artistiche più poliedriche del Rinascimento.

Alberti fa parte della seconda generazione di umanisti, di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie discipline.

Un suo costante interesse era la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. 

Palazzo Rucellai

Palazzo Rucellai - Wikipedia

Il palazzo è uno dei migliori esempi di architettura quattrocentesca a Firenze.

La sua facciata venne progettata da Leon Battista Alberti e fu il primo di una serie di importanti interventi architettonici che l'architetto e teorico del Rinascimento eseguì per la famiglia Rucellai.

Il palazzo, commissionato dal ricco mercante Giovanni Rucellai, fu costruito tra il 1446 e il 1451, su disegno di Leon Battista Alberti

Curò solo un intervento parziale, con gli ambienti interni composti da edifici diversi e irregolari, che richiesero una concentrazione, anziché sul volume, sulla facciata, completata verso il 1465

L'Alberti stesso sminuì benevolmente il suo intervento definendolo come "decoro parietale".

Alberti realizzò un capolavoro di stile e sobrietà, il Palazzo può essere considerato come il primo esempio di tentativo coerente nel sintetizzare norme pratiche e teoriche, come è evidente nell'uso dei tre ordini classici sulla facciata. 

Il palazzo appartiene tuttora alla famiglia Rucellai.

Il piano terra, più alto dei piani superiori, ha i capitelli decorati da una reinterpretazione dell'ordine dorico e due portali rettangolari classicheggianti. 

Vi corre davanti una "panca di via", un elemento oltre che di utilità pratica per i passanti, creava una sorta di piano base per il palazzo, come se si trattasse di uno stilobate

Lo schienale della panca riproduce il motivo dell'opus reticulatum romano. 

In alto il palazzo è coronato da un cornicione poco sporgente, sostenuto da mensole, oltre il quale è nascosta una loggetta ornata da pitture a monocromo del XV secolo.

Il fregio del piano terra contiene le insegne della famiglia Rucellai: tre piume in un anello, le vele gonfiate dal vento e lo stemma familiare, che compare anche sui blasoni sopra i portali. 

A destra si vede bene come la facciata sia incompleta, infatti non finisce in maniera netta, ma è frastagliata perché era prevista la continuazione con un terzo portale.

L'effetto generale è vario ed elegante, per il vibrare della luce tra le zone chiare e lisce e quelle scure . 

Nel trattato l'Alberti scrisse infatti "La casa del signore sarà ornata leggiadramente, di aspetto piuttosto dilettevole che superbo".

Lo stile del palazzo costituì un punto di partenza per tutta l'architettura di residenza civile del Rinascimento.


Santa Maria Novella


Fra il 1439 e il 1442 la famiglia fiorentina dei Rucellai commissionò al grande architetto rinascimentale Leon Battista Alberti il completamento della facciata di Santa Maria Novella, che tuttavia fu iniziato solo nel 1458.

La facciata della vecchia chiesa gotica era rimasta incompiuta nel XIV secolo; Alberti quindi dovette conciliare il suo progetto con la preesistenza della parte inferiore

Maria Novella, secondo il progetto albertiano, presenta una soluzione innovativa

Ordini architettonici classici sono posti su un doppio livello e il prospetto si conclude con un frontone triangolare, alla maniera di un tempio greco.

Due grandi volute laterali nascondono le pendenze delle navate minori. 

L’uso delle tarsie marmoree, l’impostazione rigorosamente bidimensionale, la risoluzione di tutti i problemi attraverso il disegno sono componenti già tipiche del linguaggio architettonico medievale fiorentino; la facciata di Santa Maria Novella, erede legittima della Basilica di San Miniato e del Battistero, si poneva dunque come un tipico esempio di modernità rispettosa della tradizione.

È importante, sottolineare che certe scelte progettuali risultarono ad Alberti obbligate, in quanto il tentativo di rendere compatibile una chiesa gotica con l’adozione di proporzioni classiche costrinse l’architetto a non applicare con rigore le regole canoniche degli ordini, che pure proprio in quel periodo aveva studiato ed esaminato nel suo trattato De Re Aedificatoria

Le colonne e le lesene da lui disegnate per la facciata appaiono, per esempio, piuttosto “snelle”, perché allungate rispetto al diametro di base; l’alto attico, posto a separare la parte inferiore gotica da quella superiore classicistica, è certamente un elemento inedito, necessario per bilanciare l’eccessivo verticalismo della decorazione gotica e per ordinare più correttamente quel prospetto da tempietto tetrastilo (con quattro colonne in facciata) impostato in alto

Il portale centrale è la forma classicisticamente più corretta dell’intera architettura.

L’intero edificio sta rispetto alle sue parti principali nel rapporto di uno a due, vale a dire nella relazione musicale dell’ottava, e questa proporzione si ripete nel rapporto tra la larghezza del piano superiore e quella dell’inferiore».



Piero della Francesca

Pittore e matematico italiano, tra le personalità più emblematiche del Rinascimento italiano, fu un esponente della seconda generazione di pittori-umanisti.

Le sue opere sono mirabilmente sospese tra arte, geometria e complesso sistema di lettura a più livelli, dove confluiscono questioni teologiche, filosofiche e d'attualità. 

Riuscì ad armonizzare, nella vita quanto nelle opere, i valori intellettuali e spirituali del suo tempo, condensando molteplici influssi e mediando tra tradizione e modernità, tra religiosità e nuove affermazioni dell'Umanesimo, tra razionalità ed estetica.


Pala Brera


La pala con la Sacra Conversazione, nota come Pala di Brera, fu commissionata al grande pittore rinascimentale Piero della Francesca (1415/20-1492) da Federico da Montefeltro, signore di Urbino, per celebrare la nascita dell’erede maschio e per commemorare la morte della moglie.

Dalla Pinacoteca di Brera, l’opera ha poi ereditato il nome con cui è ancora oggi conosciuta La Pala di Brera raffigura in tutto tredici figure: la Madonna, Gesù Bambino, sei santi, quattro angeli e il committente. 

La Madonna, tanto dolce quanto enigmatica, è seduta su un trono basso, ma posto su una pedana, e tiene le mani giunte, mentre il Bambino giace addormentato sulle sue ginocchia. 

L’inclinazione del piccolo è la stessa delle braccia di Federico e della sua spada: un artificio per collegare le due figure e alludere alla nascita dell’eredeGesù è nudo e ornato solo da una collanina di corallo (usato come amuleto sin dai tempi antichi). 

Il sonno del piccolo Gesù prefigura, simbolicamente, la sua futura morte: il ramoscello pendente di corallo, infatti, gli disegna sul corpicino la ferita sanguinante del costato. 

Gli angeli sono ornati da perle e rubini (simboli della purezza e dell’amore)Federico da Montefeltro è inginocchiato in primo piano, come sempre mostrando il lato sinistro, e indossa l’armatura, a indicare il suo impegno a difendere la Chiesa. 

Pare che Piero abbia dipinto il duca con la collaborazione di un fiammingo, forse Giusto di Gand (1430-1480), cui sono state attribuite le robuste mani inanellate e le bellissime stringhe di cuoio rosso, tipico vezzo dei ricchi di alloraI personaggi si trovano, apparentemente, al centro di una crociera, davanti a un coro ornato da marmi policromi, coperto da una volta a lacunari e concluso da un’abside con una nicchia a conchiglia, simbolo della natura generatrice della Vergine, dalla quale pende un uovo di struzzo

Quest’ultimo simboleggia ancora una volta la Vergine e la sua miracolosa gravidanza (giacché un tempo si credeva che gli struzzi fossero capaci di fecondarsi da soli), oltre che rimandare all’emblema dei Montefeltro, nel quale lo struzzo è presente con un pezzo di lancia nel becco.

L’architettura che accoglie i personaggi è di stampo albertiano. 

Lo straordinario effetto prospettico con cui è resa viene esaltato dalla luce che irrompe da sinistra. 

Questo effetto di tridimensionalità, una volta, era più evidente: la pala infatti fu tagliata ai lati e privata dell’originale porzione di navata, della quale oggi s’intravedono soltanto gli angoli. 

Dobbiamo tuttavia osservare che Piero, da grande maestro prospettico, volle giocare con gli effetti illusionisticiLa zoccolatura che s’intravede sotto il gomito del Battista chiarisce, per esempio, che lo spigolo è alle sue spalle e non davanti a lui, e che dunque le figure si trovano nella navata e non nella crociera, come invece appare a un primo sguardo. 

Una finzione nella finzione, insomma; e non a caso manca la scacchiera del pavimento, tradizionale strumento di misurazione ottica usato nel Quattrocento.

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